Incontriamo Alessandro Sabini, Executive Creative Director presso Ogilvy & Mather, agenzia pubblicitaria nota in tutto il mondo, il cui fondatore David Ogilvy ha lasciato il segno nell’advertising di tutti i tempi.
Alessandro Sabini ha 38 anni, ha studiato Media and Communication al Goldsmith’s College di Londra e Giornalismo all’Istituto Superiore di Giornalismo di Urbino. Ha iniziato la sua carriera nel 1998 come copywriter in Publicis Milano per poi passare in Saatchi & Saatchi, Ata De Martini & C./Arnold Worldwide, Bcube e Leo Burnett dove negli ultimi sette mesi ha ricoperto il ruolo di direttore creativo su tutti i marchi del Gruppo Fiat e quello di worldwide creative director per il gruppo Chrysler.
Nel suo portfolio ci sono premi nazionali e internazionali tra cui due Leoni a Cannes, dove quest’anno ha ottenuto una nomination per Diesel, e un Grand Prix ADCI. Da settembre 2011 entra in Ogilvy&Mather Advertising col ruolo di Executive Creative Director.
C’è un episodio che ha determinato la scintilla del tuo amore per la pubblicità?
Non c’è stato un episodio vero e proprio. Io ero bambino negli anni ottanta e in quel periodo la figura del pubblicitario era molto esotica. Mi immaginavo le agenzie dove la gente si vestiva in modo strano e guadagnava un sacco di soldi facendo qualcosa di più simile a un gioco che a un lavoro. All’inizio però pensavo che per farlo si dovessero avere doti artistiche, qualcosa di più simile a un illustratore o a un fumettista. Quando, molti anni dopo, ho scoperto l’esistenza del copywriter ho capito che poteva essere il mio lavoro: scrivere mi piaceva e mi riusciva piuttosto bene.
Hai iniziato nel 1997 quando il mondo dell’advertising aveva già subito importanti cambiamenti, ma sei stato lo stesso partecipe di un’ulteriore evoluzione. Cosa ricordi con nostalgia e cosa, invece, sei felice che sia finito?
Sono sicuro che, come me, tutti quelli che hanno iniziato a metà dei novanta, non possono non rimpiangere la ricchezza. E non parlo di stipendi – quelli erano già molto “livellati” – ma di investimenti da parte dei clienti. Si facevano produzioni tv multi soggetto anche solo per una promozione; si mettevano a disposizione di fotografi e registi somme adeguate e spesso si usavano nomi prestigiosi. E le agenzie facevano bellissimi regali di Natale…
Paradossalmente questo è quello che rimpiango e che al tempo stesso mi va bene sia finito. Perché è ciò che ha contribuito a creare il nuovo modello di agenzia e di pensiero, basato su idee e mezzi alternativi.
Su quali leve competitive credi debbano puntare le agenzie pubblicitarie dei nostri giorni?
Questi sono gli anni in cui le aziende vedono i loro prodotti copiati e proposti a prezzi più bassi generando la morte della manifattura di qualità. E sono gli anni in cui le stesse aziende mettono online i propri brief dandoli in pasto a chiunque. Generando un terrificante fenomeno di devalorizzazione del lavoro di agenzia.
Penso che in questo momento le uniche cose che possano salvare aziende e agenzie siano solo ed esclusivamente ricerca e sviluppo di idee nuove. Le cose mai fatte prima non possono essere copiate o emulate e rappresentano l’unico valore tangibile. Io e Giuseppe Mastromatteo, in Ogilvy & Mather Advertising, stiamo provando a lavorare in questa direzione. Nel 2012, sperimenteremo un nuovo modello di reparto dove i creativi lavoreranno e penseranno insieme a veri e propri tecnici: ingegneri, sviluppatori, progettisti e designer.
Quale lavoro ti ha fatto penare di più ma ti ha anche ripagato con grandi soddisfazioni?
La gara per il lancio della Nuova Vespa nel 2004. Era capitata a cavallo del mio passaggio da Saatchi & Saatchi a Ata De Martini & C. ed entrambe le agenzie erano coinvolte. La gara fu così lunga che mi ritrovai a lavorarci prima in una e poi nell’altra, da settembre a febbraio credo…
Un incubo. Però la vincemmo con una campagna copyad e quando vedevo i miei titoli sulle megaffissioni di piazza Venezia era emozionante. E poi quel lavoro mi fa rivolgere un pensiero all’art director che lavorò con me: Massimiliano Sagrestano.
Per un giovane che aspira a diventare creativo pubblicitario, quale percorso suggerisci?
Scegliere la scuola giusta che abbia corsi aggiornati e un corpo docenti fatto anche di giovani professionisti perché sono quelli che ogni giorno si confrontano realmente con il cambiamento.
E poi cercare di entrare nelle agenzie scegliendo in base a chi ci lavora dentro. Le sigle e le dimensioni non contano (lo dice anche il detto). Contano i creativi senior, i vice direttori creativi e i direttori creativi. Perché sono loro i veri insegnanti di questo mestiere.
Spesso si critica la pubblicità italiana perché priva di slancio e di fervore creativo. La colpa è più dei clienti o più dei creativi?
Si è vero: si critica tanto la creatività italiana. Tantissimo. Pure troppo. Quasi non se ne può più.
Dove trovi la maggiore fonte di ispirazione delle tue idee?
Da tanta ricerca. Come tutti, credo: arte, cinema, design, social network, una quantità massiccia di web ogni giorno e la curiosità nei confronti dei piccoli fenomeni sociali che nascono spontaneamente qua e là. Quelli mi fanno impazzire. E per scovarli uso siti come urbandictionary o wordspy.
La fine dei media generalisti, come ha cambiato il tuo approccio strategico alla comunicazione?
Premetto che non credo alla fine dei media generalisti ma in una loro evoluzione. Ma questo diventerebbe un discorso un po’ lungo.
Il vero grande cambiamento rispetto al passato è che prima si faceva pubblicità e adesso si fa comunicazione. La creatività punta a creare un dialogo tra brand e consumatore sostituendo la “visione” con l’esperienza del messaggio. E’ ovvio che questo porta a spostarsi verso mezzi di comunicazione a due vie. Ma questo non significa solo digitale. Anche una bella, analogica e secolare piazza di città può diventare teatro di progetti di comunicazione molto innovativi. Penso a T-mobile o alla bellissima operazione Angry Birds di Saatchi Italia.
Hai voglia di raccontarci un aneddoto divertente che ti è capitato durante il tuo lavoro?
Tragicamente divertente: io e il mio ex art director e co-direttore creativo in Arnold ci facevamo spesso scherzi e dispetti. Lui, per esempio, teneva la musica troppo alta mentre scrivevo. In una di queste volte pensai bene di restituirgli il favore tagliandogli i fili delle casse del Mac proprio sotto il naso. Purtroppo, lui allungò una mano per fermarmi e io gli affettai un polpastrello. Ho ancora in testa il ricordo dello “zac” delle forbici… La cosa drammatica è che lui era l’allora emergente artista Paolo Troilo che quest’anno ha esposto i suoi lavori alla Biennale di Venezia e che al tempo stava preparando una delle sue prime mostre personali. Troilo dipinge con le dita…
Qual è la tua definizione personale di creatività?
Per me la creatività è matematica. Ogni grande idea creativa è come una bellissima equazione risolta.
Ti ringraziamo dell’intervista e ti chiediamo di segnalarci la tua ultima creazione, visibile in questo periodo.
La mia ultima produzione è una campagna sociale per Emergency uscita online e sui canali Mediaset dal 29 dicembre al 7 gennaio.
Noi riportiamo lo spot in basso, così potete apprezzarne anche voi la forza dell’idea.
Alessandro Sabini, Executive Creative Director di Ogilvy & Mather.
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